I blink sono cresciuti all'improvviso.
È successa una cosa in questi giorni. Ho ricevuto un messaggio in DM su Instagram da una persona che non conoscevo. Il messaggio era questo:
Non lo so perché non ci sono andato a Bologna. Provo a dare qualche risposta:
- Quando è uscita Edging mi ha lasciato molto freddo.
- Il concerto che ho recensito nel 2010 di cui parla il messaggio non è stato indimenticabile, ho come avuto la sensazione di essere arrivato troppo tardi alla festa, quando era tutto già successo, e quindi ripetere l’errore quasi 15 anni dopo sarebbe stato da pazzi.
- Ho 13 anni in più di quel momento.
- Da fan maniaco degli Alkaline Trio, la parentesi Skiba non mi è dispiaciuta, ma diciamo che mi è perlopiù scivolata addosso.
- Non riesco ad accettare che Mark abbia avuto il cancro.
- Quando cresci non fare una cosa è molto più facile e naturale che farla.
Per questo ultimo motivo anche questa newsletter è stata ferma un po’. Ho fatto un sacco di fatica a cambiare tante cose della mia vita, perché occuparmene sembrava uno sforzo inaffrontabile. Quando bastava magari prendere un biglietto di un concerto; di un treno; di un aereo; mandare una lettera.
Insomma, alla persona che si ricordava di una cosa che ho scritto 13 anni fa, e che poi l’ha aggiustata per me, ho chiesto di scrivere qualcosa. Eccola qui sotto, è di Ignazio Di Biagio.
Non ce ne rendiamo conto quasi mai, ma a volte capita di lasciare un pezzo di noi nelle vite degli altri, così come allo stesso modo loro fanno nei nostri confronti: basta un gesto o una parola, piccoli ricordi, dettagli anche insignificanti, ma che ci segnano indelebilmente e ci fanno associare una determinata persona a un determinato ricordo.
Chissà se Mark Hoppus, mentre parlava della sua malattia sul palco dell’Unipol Arena, ha incrociato uno sguardo di una persona specifica tra il pubblico, associando così per sempre quella faccia a quel momento così carico di emozioni. Perché la musica, soprattutto dal vivo, non è mai solo musica. In un concerto ci sono migliaia di persone che hanno atteso, trepidato, sognato di arrivare a quel momento e conservare QUEL ricordo che assoceranno per sempre a quella serata. Mio cognato, ad esempio, ricorderà per sempre che mentre vedeva per la prima volta i Blink-182 in vita sua c’era quel tizio seduto dietro di lui che non smetteva di agitarsi e dare inavvertitamente ginocchiate alla sua schiena. Non un grande momento da ricordare, certo, ma se raccontato bene può essere un aneddoto divertente.
E cosa posso ricordarmi io, che è la terza volta che li vedo? Cosa può esserci di così unico?
È impossibile per me dare un giudizio quanto più oggettivo possibile ai Blink, che sia un album o un concerto, sono troppo coinvolto emotivamente. Sarei rimasto soddisfatto pure se fossero stati in piedi fermi senza parlare per due ore. Travis si conferma una piovra umana con otto braccia, e questo lo sapevamo, non suona più a testa in giù ma ha concesso a noi sulle gradinate di apprezzarlo meglio facendosi sollevare in aria da quattro tiranti per buona parte del concerto. Mark e Tom tengono il palco come pochi frontmen al mondo riescono, nascondendo al meglio i loro limiti tecnici che comunque, rispetto agli anni passati, sono molto meno evidenti, soprattutto alla voce. La costruzione della scaletta è stata ben ponderata, partendo dagli “scaldapubblico” più punk del loro repertorio (anche perché The Story So Far, gruppo spalla di apertura, sono rimandati a settembre, non tanto per il repertorio perché de gustibus, ma è l’intensità che non c’è proprio stata, eccetto per il batterista, che ce l’ha messa tutta), per poi proseguire con le canzoni del nuovo album già presentate (Mark, sul suo Discord, dice di aver apprezzato molto l’entusiasmo a riguardo del pubblico, e di come sapesse il testo di Dance With Me, uscita il giorno prima), e poi passare alla seconda metà del concerto prima con una parte più soft, con le canzoni dalla maggiore influenza emo, per poi chiudere in bellezza con le cannonate, sia metaforiche che di pyro, gradita sorpresa dello show. Se c’è da fare una critica, è lo scarso coinvolgimento del pubblico da parte della band, e qualcuno a leggere queste parole potrebbe storcere il naso. Il duumvirato di Mark & Tom ha riempito lo spettacolo di gag come al solito, però l’interazione con il pubblico è stata dettata secondo il loro ritmo, non c’è stato spazio all’improvvisazione. In due casi il coro del pubblico che proseguiva le canzoni appena terminate è stato ignorato dalla band che ha continuato imperterrita la scaletta.
Quindi? Mi ricorderò un Travis volante? Un “fuck the Beatles” che ha fatto esplodere di risate il palazzetto? Mia sorella e mio cognato neogenitori che si prendono per mano durante First Date?
Il mio ricordo del concerto del 2010 non è avvenuto la sera stessa, o perlomeno non completamente. All’Arena Parco Nord c’era un ragazzo che aveva con sé un cartello bianco con una scritta nera, grande, maiuscola, inequivocabile: ADAM’S SONG. Lo sapevamo tutti che non l’avrebbero mai suonata, a causa dell’incidente aereo che nel 2009 ha tolto la vita a DJ AM e per poco non si prendeva pure quella di Travis, però c’era una fioca speranza che magari, leggendo quel cartello, avrebbero potuto improvvisarla sul momento. Illusioni di un ragazzo appena diventato maggiorenne. Ovviamente ero estatico per aver visto i Blink-182 dopo una reunion insperata, però quel vuoto lasciato da Adam’s Song faceva fastidiosamente sentire la sua presenza. Pensavo fosse il mio carattere a non lasciarmi godere anche quella che all’epoca era la cosa più bella vissuta in vita mia, ma io non ero solo quella sera a quel concerto. Eravamo quasi in 30.000, e sfido chiunque a non aver avuto un minimo di rimpianto per non aver sentito quella canzone. Di sicuro c’era almeno un’altra persona la pensava come me e il ragazzo del cartello. Nel web 2.0, arrivato con grave ritardo in Italia, era bello cercare notizie riguardanti la propria nicchia (per quanto una delle band più influenti del genere possa essere considerata una nicchia), e ad ogni recensione del concerto ero sempre più contento. Ma c’è stata una recensione che mi ha fatto vibrare diversamente. Questo ragazzo per me non aveva un volto, non aveva un nome (anche se c’era scritto io non l’ho letto), ma ha detto una frase che, per davvero, non ho mai dimenticato e l’ho portata sempre con me per ricordarmi che la vita va avanti e bisogna fare i conti con le sconfitte, anche perché quella piccola sconfitta faceva parte di una serata ben più gloriosa: “immagino che questo significhi crescere”, traduzione del ritornello di Dammit, prima grande hit della band nonché chiusura di ogni live. Anche lui voleva Adam’s Song ma in pochi giorni già aveva fatto pace con questa condizione di eterna mancanza.
Da quel 4 settembre 2010 sono passati 13 anni. Per uno che è cresciuto con i Blink significa quasi mezza vita fa. È passato più tempo tra i due concerti bolognesi di quanto ne è passato tra il primo concerto ed Enema of the State. Più rileggo questa frase, più il mio cervello fa fatica a processarla. Poi il 13 personalmente ritorna spesso nella mia vita: nato il 13, tredicesimo nipote su 13 da parte dei nonni paterni, alla maturità nella mia classe eravamo rimasti in 13 e ho preso un indegno 67 (6+7 quanto fa…?). Esempi un po’ stiracchiati, lo so, neanche ci credo alla numerologia, però resta il fatto che sono passati 13 anni. Da Bologna a Bologna, passando per Monza e Matt Skiba.
Sono passati anche 13 anni tra le due reunion con Tom DeLonge, causate sempre da eventi nefasti, l’incidente aereo di Travis prima e il cancro di Mark poi, e come dice la nuova One More Time, non c’era il bisogno di morire per ritornare. E allora mentre Mark sul palco dell’Unipol Arena parla di sé, di come voleva smettere di vivere da adolescente, e di come non voleva morire da adulto, ripenso a mio padre e di come a differenza sua non ce l’ha fatta a “ritornare” e io, già con gli occhi lucidi ed essendomi spoilerato la scaletta dei live precedenti, sapevo che quel momento era arrivato. Una convinzione ripetuta come un mantra, che le cose accadono o non accadono ma bisogna accettarle il prima possibile, distrutta da quelle note, suonate un semitono più basse, perché magari gli anni passano e la voce non è più quella di un tempo, ma lo spirito è sempre quello, e in quel momento la mia già scarsa virilità mascolina macho dura e pura crolla totalmente in un pianto disperato e liberatorio, atteso da quasi mezza vita. E poco importa se per inserire le canzoni nuove è stata scartata Reckless Abandon, la mia preferita e stranamente molto presente nei live seppure sia una canzone minore, non era la sua serata.
In tutto questo marasma di emozioni sentivo che c’era ancora una parte della storia da completare, non poteva finire così. Dopo una breve ricerca online ritrovo quel report, ritrovo quella frase, stavolta vedo il nome. Corro su Instagram, cerco la persona che corrisponde a quel nome, la trovo, e gli scrivo come se fosse un vecchio amico che non vedo da anni, perché questo è stato per me, è stata quella persona che con poche parole messe online ha plasmato il mio modo di vivere. In 13 anni sarà successo tutto e il contrario di tutto nella sua vita, ed è stato inconsapevolmente sempre con me. Follia, a pensarci.
All’epoca avevo anche scritto qualcosa sullo scioglimento dei Blink. Non è più online. Se vuoi leggerlo lasciami un commento, così lo ripubblico qui.